Non disprezzate la cattiva musica (nel senso della musica popolare). Siccome essa si suona e si canta molto più appassionatamente della buona (nel senso della musica classica) a poco a poco essa si è riempita del sogno e delle lacrime degli uomini. (Marcel Proust)
Da: “Béla Bartok – Uj Idok” – 1931
Saper trattare le melodie popolari è in realtà uno dei lavori più difficili che esistano, e può considerarsi senz’altro pari, se non addirittura più difficile, a quello del compositore di musiche originali . Non si deve infatti dimenticare che l’essere obbligati ad una data melodia, significa già di per sé vedersi gravemente limitati nella propria libertà, e quindi trovarsi subito di fronte ad una prima difficoltà non indifferente. Un’altra difficoltà, poi, consiste nella individuazione dello specifico carattere della melodia popolare, che richiede appunto di essere elaborata pur conservandole la propria tipica fisionomia, cioè dandole il dovuto rilievo. Insomma per elaborare un canto popolare non serve certo meno ispirazione, come si usa dire, di quanta ne occorra per una qualsiasi altra composizione.
Il Coro Monte Cauriol si pone come obiettivo principale la ricerca, la conservazione e la divulgazione del canto popolare secondo la tradizione stilistica del “canto di montagna” inteso come canto corale armonizzato per voci virili derivato da forme di espressione musicale diffuse nelle regioni alpine. Il repertorio è formato essenzialmente da brani musicali e testi di autore ignoto le cui origini, di incerta determinazione e datazione sono da ricercarsi nella tradizione musicale italiana ed europea. Gli stessi brani, tramandati con adattamenti e variazioni dalla tradizione orale, ricostruiti e trascritti da studiosi e musicisti sono presentati dal coro rispettandone la linea melodica ritenuta più aderente a quella originale e riproposti con vesti armoniche che frequentemente si richiamano al canto popolare spontaneo. Costruzioni armoniche inconsuete sono inserite raramente, accettabili quando contribuiscono a valorizzare lo spirito originario del pezzo con coerenza interpretativa. Sono stati accolti anche canti di origine popolare provenienti da più lontane aree geografiche ed alcuni pezzi d’ autore già entrati a far parte della tradizione popolare ancor prima della nascita del coro, che presentano caratteristiche melodiche e armoniche vicine a quelle del canto popolare spontaneo.
«Il canto popolare rappresenta le nostre tradizioni. I canti parlano della nostra storia, dei “mestieri” dei nostri antenati, dei loro sentimenti, del loro modo di intendere la vita. Tutti dovremmo sapere queste cose. Un giovane che non ha mai ascoltato “La pastora” e non ha neppure una vaga idea di cosa sia il canto popolare, perde la possibilità di conoscere le sue origini, la sua terra, perde un pezzo del suo passato e delle sue radici. E senza nemmeno saperlo.» (Mauro Pedrotti – direttore del Coro della SAT)
Estratto da: “Armando Corso – intervista” [Choraliter, n. 32, Maggio-Agosto, Ed. FENIARCO 2010]
M. Zuccante: ….ritiene che il canto alpino possa avere un futuro?
A. Corso: Certamente. Noi abbiamo cominciato con il repertorio della Società Alpinisti Tridentini. Avevamo gli spartiti e il libro del coro della SAT. Da lì siamo partiti e siamo fortemente ancorati come base a quel tipo di canto…abbiamo sempre cercato di pescare nel canto popolare, canto di montagna, canto di gite, canto giovanile, di escursioni….sentiamo anche il bisogno ogni tanto di allargare. Abbiamo qualche spiritual, canti natalizi, canti religiosi e anche canti popolari di altre regioni.
M. Zuccante: I cori alpini si formano, in genere, in ambito prettamente amatoriale…lei non è musicista di professione. Crede che il presupposto di sano diletto contribuisca a valorizzare l’ autenticità di chi si esprime attraverso il canto corale alpino?
A. Corso: Sicuramente sì. Non nego che per i professionisti la musica nelle sue varie forme sia proprio la vita. Ma nel coro tutti noi abbiamo una vita professionale diversa…il fatto di essere liberi perchè abbiamo altre professioni ci rende veramente consoni con un bisogno interno di questo tipo di vocalità e musica che non è stato imparato in un conservatorio, ma magari andando in montagna, cantando in gita…
M. Zuccante: Di certo non si impara lo stile del canto corale alpino frequentando i conservatori…si impara piuttosto sul campo dall’ esperienza diretta di chi già lo pratica…in cosa consistono le qualità peculiari di un direttore di coro alpino?
A. Corso: Sicuramente all’ inizio c’è non una preparazione, ma un istinto e una certa musicalità da parte di tutti i cantori e del direttore ….prevale sicuramente l’istinto che porta a cantare in questo modo chi lo ha già fatto in gita, in montagna …poi affinando opportunamente le proprie istintive qualità canore, di orecchio, di vocalità porta ad entrare in sintonia con questo modo di cantare, che ci permette di esprimere tanti sentimenti umani, restituire proprio umanità, che poi è la base di tutto questo discorso.
M. Zuccante: Su quali aspetti espressivi lei ha lavorato più insistentemente, per differenziare lo stile del Coro Monte Cauriol da quello di altre formazioni storiche che potremmo definire di riferimento nello stesso genere?
A. Corso: …c’è per noi la radicata convinzione che un canto di questo tipo debba essere levigato da secoli di tradizione orale, in modo che tutte le falsità, le asperità siano state tolte e ne esca qualcosa di puro, di estremamente valido, che sentito una volta rimanga nella testa di chi ha un po’ di orecchio, di musicalità. Quindi privilegiamo assolutamente canti non d’ autore, salvo rarissime eccezioni, cito Stelutis alpinis, La Paganella, La Montanara e qualche altra. Ma in generale privilegiamo i canti che sappiamo sono rimasti nelle orecchie della gente, delle famiglie. Siamo andati in giro, anche in Trentino, a farci cantare nelle osterie i canti, lo stesso a Trieste e così via. Abbiamo sentito le preferenze e anche l’entusiasmo di chi le cantava senza preparazione musicale, ma evidentemente con un orecchio di base e una certa abitudine, data una melodia, a fare a orecchio il secondo, il basso. E quindi, secondo noi, questi canti sono molto più validi degli altri, noi li privilegiamo.
M. Zuccante: Sveliamo l’arcano della dizione «Armonizzazione: Cauriol», che contrassegna il maggior numero delle partiture del Canzoniere del suo coro. In verità, è lei l’autore degli arrangiamenti corali dei brani che costituiscono il grosso del repertorio del Coro Monte Cauriol. Quali sono le corrispondenze stilistiche tra le sue stesure e la prassi esecutiva del Coro Monte Cauriol?
A. Corso: Perché non ho voluto firmare le mie armonizzazione fin da 61 anni fa? Perché ho desiderato fin dall’inizio che il coro le sentisse proprie, non mie, cioè che non ci fosse un maestro con degli altri che lo seguivano, ma che fossimo tutti uguali. Perciò ho cercato, finché qualche sciagurato non ha tirato fuori il mio nome, di non comparire. Io lo ringrazio naturalmente questo sciagurato, questo gruppo di sciagurati, però avrei preferito di no, perché c’è nel nostro coro un forte senso di appartenenza al coro, sentiamo proprie queste canzoni. Altri non le cantano, altri le imitano magari adesso da un po’ di tempo. Ma è molto importante questo aspetto di comproprietà, di orgoglio da parte dei cantori. Volevo insomma che le sentissero proprie.
M. Zuccante: Da un coro alpino c’è da aspettarsi una coerente adesione a canti popolari di derivazione storico-geografica circoscritta. Eppure, nel repertorio del Coro Monte Cauriol si annoverano alcuni sconfinamenti. Canzoni napoletane, sarde, armene, americane, gospel, pop e così via. Quali sono le ragioni di queste divagazioni?
A. Corso: Perché ci piacciono e secondo noi sono altrettanto popolari, antiche, valide. Ne ho parlato con Silvio Pedrotti a suo tempo e mi ha detto «Fate bene. Lo dovete fare. Perché dovete anche un po’ aprire la vostra testa verso altre musicalità, altre culture». Nel caso degli spirituals, siccome io ho una parallela attività jazzistica, non ho avuto nessuna difficoltà. Anzi, siamo stati pionieri in Italia. Perché ora c’è pieno di cori che cantano gospel, eccetera, ma noi li cantavamo 50 anni fa.
M. Zuccante: Per finire, vorrei formulare la seguente questione. Abbiamo detto che i cori alpini si formano, di norma, in ambito amatoriale. Ma le origini del Coro Monte Cauriol ci portano negli ambienti colti delle aule universitarie genovesi. Analogamente, altri cori alpini si sono formati tra persone non musiciste di professione, ma comunque di estrazione colta. E aggiungo che Massimo Mila definì il Coro della SAT «ll Conservatorio delle Alpi», come a volere attribuire al canto dei satini di Trento un marchio di prodotto d’arte. Insomma, l’ingrediente popolare nel genere del canto corale alpino in che misura è filtrato e valorizzato dall’anima colta di chi lo mantiene vivo?
A. Corso: In misura massima. E’ importantissima la cultura di tutti i coristi, dei vice maestri, del maestro, perché è necessario avere molta misura, rispetto per lo stile, rispetto per questi canti, senza voler strafare o debordare. Molti dei coristi– me compreso – hanno fatto studi, anche studi classici – io ho avuto quella fortuna, ho fatto il Liceo classico, ho studiato filosofia, ho studiato l’estetica, ho studiato Benedetto Croce – e questo mi ha insegnato tante cose, tante cose su che cosa è valido e su che cosa è invece cerebrale. Tutto sommato noi siamo dei romantici. Il Coro Monte Cauriol è formato da persone romantiche, cioè che credono che la musica non sia altro che un’espressione dell’umanità, dell’uomo: cosa c’è dentro quello che scrive, che canta, che suona, che dipinge. I suoi pensieri, i suoi sentimenti. Quando io sento un coro e dico «Ah come sono tecnicamente bravi», la cosa finisce lì. Ma ci sono stati dei cori oggi – non mi vergogno a dirlo – che mi hanno fatto piangere. Ma non tutti, alcuni. Sanno esprimere l’umanità che hanno dentro. Forse questa è la chiave più importante per fare queste cose.
Articolo di Armando Corso pubblicato su rivista della sezione ligure del CAI Luglio 1996 nr. 2.
Origine e sviluppo del canto popolare e di montagna.
Il canto popolare ha due modalità di esecuzione spontanea, che ne contraddistinguono versioni ed aspetti fra loro molto diversi: quella monodica, legata cioè alla interpretazione di una sola persona, e quella corale, collettiva. In questo scritto prendo in considerazione solo quest’ ultima, che è peculiare e di particolare importanza per chi si occupa di canti di montagna.
Anche su quest’ ultimo termine bisogna intendersi e si è molto discusso, poichè il significato va da quello di canti popolari sorti nelle vallate e regioni montuose italiane ( alta Italia e Abruzzo ) a quelli della naja e degli alpini, sviluppatisi in grande quantità durante la guerra di posizione ’15-18, ad altri resi noti dalle esecuzioni di cori virili e misti, a partire dalle proposte del celebre e glorioso coro SAT dal 1926 ad oggi. Da notare che questi tipi di canti, anche nelle esecuzioni spontanee che sorgono in occasioni tipiche ( per esempio a carattere conviviale ) hanno modalità di esecuzione polifoniche, con spesso tre diverse voci intonate a orecchio: il tema, una seconda voce parallela a distanza di terza o più raramente di sesta, ancor più raramente in falsetto, ed un basso semplice che gravita per lo più sulle fondamentali degli accordi principali. Il canto è inoltre legato e semplice, senza vibrati lirici, e crea una tipica atmosfera tersa e trasparente. Una prevalente linea di pensiero tende a negare uno specifico tipo di ” canto di montagna “, e ne accomuna le esecuzioni a quelle di altri canti di ispirazione popolare. A costo di restare contro corrente sostengo invece che il canto di montagna, ispirato ai sentimenti, all’ ambiente, al mutare delle ore e delle stagioni, alle leggende, al lavoro di pastorizia e agricoltura, esiste, ma può essere riprodotto solo a chi partecipa a questo genere di sentimenti. Non può giungere a nessuno un messaggio che non sia già nella testa o nel cuore di chi lo invia: esistono pertanto i veri cori alpini e di montagna, ma anche, ed in prevalenza, tanti altri cori…di pianura, che prima o poi gettano la maschera e si dedicano ad altri generi. Si tratta magari di bravi musicisti e cantori, ma che non hanno mai raggiunto una vetta o passato una notte in rifugio, che non sanno cosa sia la fatica, l’ aiuto reciproco di quando si è in difficoltà, e si dividono le poche stille d’ acqua rimaste nella borraccia, non sanno cosa sia l’ amicizia…la montagna è umanità!
Nel campo della musica e del canto popolare molto sarebbe andato perduto senza l’ opera di ricostruzione e valorizzazione fatta da parte di singoli o di gruppi, e senza la conservazione di valori antichi da parte di testimoni in genere sopravvissuti lontano dal caos delle città moderne, in provincia, nei villaggi e paesi o in altre situazioni protette.
LE ORIGINI
Le occasioni di gruppo sono in questo campo più fertili e interessanti. Allargando il discorso basta ricordare:
– i canti religiosi ( corali protestanti, negro spirituals )
– i canti di lavoro collettivo spesso funzionali al ritmo di questo, come canti di mondine, quelli di piantagione della Louisiana, che inizialmente erano delle brevi grida di incitamento ( holler ) da parte dei capisquadra, quelli legati al lavoro delle linee ferroviarie e di strade ( vi sono molti esempi di worksong, e ricorderò anche gli ” aizinponeri “, posatori di binari della Valsugana e gli ” scariolanti ” emiliani ), i canti legati alla battitura dei pali, i canti di ritiro delle reti dei pescatori e di navigazione, da cui originano i ” trallallero ” liguri;
– i canti conviviali e di osteria ( per il nostro paese citerò Maria Giôana, Vinazza vinassa, la Mula de Parenzo, la Tabachina… ) ;
– i canti della naja come La lunga penna nera, E quando il vecio alpin, La rivista dell’ armamento, La sonada dei congedà…;
– i canti di trincea: in tal senso i lunghi inverni della prima guerra mondiale, che hanno riunito uomini provenienti da diverse vallate e con culture e tradizioni diverse, sebbene abbastanza affini, e con l’ innesto di testi nuovi e d’ occasione improvvisati da oscuri poeti, hanno creato temi di grande poesia. Ma andando un po’ indietro ricorderò Addio mia bella addio e la Gigogin ( Risorgimento ), Mamma mia vienimi incontro ( guerra di Abissinia del 1896 ), Mamma mia non piangere ( innestato su un canto di mondine ), Alpini in Libia dalla guerra contro i turchi del 1911, Ta-pum ( su un precedente canto di minatori della galleria del Gottardo ), Il testamento del capitano ( vedere il precedente Barun Litrun ) e Bella ciao, canto partigiano su un precedente canto di mondine.
– i canti americani per piccolo complesso maschile che vanno sotto il nome di stile ” barber shop ” perchè sviluppatisi in antiche botteghe di barbiere con l’ accompagnamento di una chitarra, durante le pause del lavoro, ed il cui esempio più illustre di nobilitazione è fornito dalle notevoli incisioni dei Mills Brothers;
– i canti di gitanti in rifugio o sul pullman, i cori negli stadi…
Che sintesi possiamo trarre dagli esempi esposti?
Ovunque gruppi di persone si trovino riuniti in circostanze che ne favoriscano la reciproca comunicabilità e sia presente una identità di esigenze, difficoltà, aspirazioni, obiettivi, ecco che il modo più naturale di intercomunicare è il canto collettivo, il coro!
GLI AUTORI
Ma chi sono gli autori dei testi e dei temi musicali? Nella maggior parte dei casi sono sconosciuti, anche se geniali, per l’ incisività delle loro composizioni, che hanno superato anni e spesso secoli, subendo anche trasformazioni da un luogo ad un altro e innesti di successive invenzioni da parte d altri genii ignoti ( tanto per citare un noto esempio: della Girometa si conoscono circa quattrocento versioni diverse nei testi e nelle armonie e le prime notizie risalgono al cinquecento ). Né si può ignorare che le trasformazioni sono state in molti casi originate da vuoti di memoria o errori di interpretazione, o dalle necessarie traduzioni dovute a trasmigrazioni da paese a paese, di valle in valle o di regione in regione. Altri esempi di mutazioni: Il mazzolin di fiori, la Tabachina ( mi sono imbattuto recentemente nella trascrizione di una antica danza francese, musicalmente pressochè identica )…; altri motivi di mutazione possono essere puramente d’ occasione.
L’ ESECUZIONE
L’ esecuzione di questi canti può naturalmente essere ripresa da complessi o musicisti professionisti o amatoriali, con l’ indubbio merito della conservazione di un enorme patrimonio culturale, anche se è necessariamente insita in ognuna di tali proposte una interpretazione, volente o nolente, personale. Questa si sovrappone inevitabilmente al materiale originario, con risultati buoni o cattivi a seconda della validità degli autori ed esecutori.
A questo proposito è bene ricordare che il musicista, anche se legato a temi e testi dati, gode comunque di infinite libertà, di cui può usare a proposito o a sproposito, conservandone la responsabilità.
La libertà di cui ho parlato è a molte dimensioni: voglio qui esplicitarla attraverso una analogia con la tavolozza di colori che è a disposizione di un pittore, e la chiamo pertanto ” la tavolozza musicale “.
LA TAVOLOZZA MUSICALE
I principali colori che ha a disposizione un coro professionale o amatoriale, ed in particolare il suo maestro, per proporre in modo comunicativo il suo messaggio, sono qui di seguito elencati, in modo forse un po’ schematico a scopo di maggiore chiarezza:
– linea melodica, cioè successione di note che costituiscono il canto o il tema principale, con i loro intervalli di altezza e le loro durate, comprese le pause eventuali;
– modo, cioè il tipo di scala musicale su cui è costruita una melodia. Chiedendo scusa per un breve cenno tecnico, ricordo che le più spontanee ed usuali sono quella maggiore e quella minore, una commistione delle due ( è il caso del Blues ) e la scala pentatonica. Nel canto popolare sono generalmente assenti le scale artificiali, come la esatonale e la cromatica: il canto spontaneo è diatonico;
– armonizzazione, cioè giustapposizione di altre voci o linee melodiche a quella principale, col risultato di rivestire la melodia principale di accordi ad essa adatti. Nel canto popolare l’ armonizzazione pone numerosi problemi di gusto e di coerenza col carattere originario del canto oltre che di eseguibilità da parte dei cori, a seconda delle loro capacità tecniche e della loro cultura;
– uso di timbri in linea col genere di canto eseguito, uso o meno del vibrato e impostazione lirica o no della voce;
– architettura generale della composizione ispirata dal tema popolare scelto;
– contrappunto, cioè accompagnamento del tema principale con contro temi, risposte, linee melodiche sfasate e simili. E’ un discorso molto tecnico, ma anche pericoloso nel campo che stiamo esaminando: il musicista può facilmente farsi prendere la mano da tentazioni cerebrali fuori atmosfera e non significative;
– velocità e ritmo dell’ esecuzione e loro variazioni ( accelerando / rallentando /corone, cioè note o pause prolungate tenute ad libitum, rubati, cioè frasi eseguite più rapidamente del resto dell’ esecuzione );
– volume sonoro ( dal pianissimo al fortissimo ) e sue variazioni ( crescendo-diminuendo ), chiamate anche dinamica;
– registro e tonalità cui assegnare il tema principale e le altre voci ( soprano – mezzosoprano – contralto – tenore – baritono – basso – falsetti );
– esecuzioni legate o staccate, enfasi sulle vocali o sulle consonanti, portamenti;
– uso di codici espressivi non musicali ( gestualità, mimica, teatralizzazione, presentazioni ).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Abbiamo visto che le origini del canto di montagna e popolare si perdono nei secoli passati, e che lo sviluppo avviene attraverso il filtro di tanta gente sensibile ( in tal senso questi canti costituiscono un elemento e un risultato della cultura popolare ).
Per tali motivi è impossibile che il canto popolare possa essere composto a tavolino.
Al massimo si può comporre un canto, più o meno valido, di argomento e ispirazione popolare. Il fine di ogni esecuzione musicale, come di ogni manifestazione artistica, è l’ espressione, ossia la comunicazione di sentimenti dal singolo o da un gruppo ( coro o orchestra ) verso altri o se stessi. Sentimenti del tipo più vario: gioie, dolori, speranze, frustrazioni, orgoglio, ammirazione, affetti, ricordi, fughe dalla situazione attuale, in avanti, indietro, nell’ amore o nell’ amicizia o nell’ odio, esortazione e altro ancora. Se manca questo contenuto il messaggio è vuoto!
Per cantare bene i canti di montagna bisogna amarla e viverla e provare il profondo legame che si crea fra i suoi appassionati.
Tale profondo legame di amicizia si ricrea allora anche in seno al coro, che pertanto riesce anche a comunicarlo!
Armando Corso.